by Marionoclock
Lo scorso 8 marzo mio figlio di tredici anni e mezzo al mio rientro a casa dal lavoro mi racconta come sempre qualche aneddoto e fatto avvenuto nel corso della sua giornata.
“Oggi è la Festa della Donna, auguri”. “Grazie!”
Poi prosegue: “La professoressa di italiano dice che in realtà una festa per le donne è un atto di discriminazione, perché gli uomini non hanno un giorno dedicato a loro…”
Sono partita in quarta, e su tutte le furie: “Ecco, un’altra donna che sentenzia contro il suo genere e condiziona nel modo sbagliato delle giovani menti maschili anziché limitarsi a insegnare grammaticaletteraturastoriageografia ecc.” (naturalmente, sono perfettamente consapevole che quell’amabile professione è anche e soprattutto un lavoro in cui si veicolano idee prima che nozioni: anche se per poco, io stessa ho insegnato).
Sono passata quindi al ricordare a mio figlio (il ragazzo è amorevolmente uso alle idiosincrasie di sua madre) la lunga, tormentata e mai finita storia dell’emancipazione femminile, come al solito facendo un – sì, lo ammetto, noiosetto – excursus fra la mia libreria: Mary Wollstonecraft e le suffragette (e mio figlio: “sì, lo so, una finì pure sotto le ruote”), le operaie bruciate in fabbrica l’8 marzo (“lo so”), altre donne bruciate come streghe, (io: “anche qui, non lontano, in piazza a Coredo, cosa credi, mica solo fra i Puritani del Massachusetts” e lui: “Davvero?”) e via via, le spose bambine, le donne infibulate, le schiave, le vendute, le picchiate, le ammazzate, i diritti di voto, divorzio e aborto arrivati tardi (“beh, il diritto di voto – ha detto mio figlio serissimo – anche gli uomini, non è che l’hanno avuto tanti anni prima, è stato solo con Giolitti, sai, l’ho appena studiato…” e io: “certo, il “suffragio universale maschile” … concederlo anche a tutte le donne quel diritto, Giolitti, no??”), i soffitti di cristallo, il lavoro sottopagato, i diritti ancora negati…
Cercando di farsi strada nella mia irruenza verbale, ha detto: “MAMMA!! Non ho detto che la professoressa avesse ragione o che io fossi d’accordo con lei. Ho solo detto “la professoressa dice che…”. Avrà il diritto di pensarla come vuole, ed io di riportare le sue parole, o no?”
Bene. Avrò sbagliato altro nel mio essere madre, ma una cosa è certa: il rispetto per il diritto di ognuno a manifestare il proprio pensiero è trasmesso. Ora devo esercitarmici meglio io.